Marek Edelman

(Homel 1919 o Varsavia 1922 – Varsavia 2 ottobre 2009)

Ho passato la vita a combattere nazionalisti, fascisti e comunisti. Non perché sono un ebreo o un socialista del Bund. Solo perché sono un uomo. E tale sono voluto rimanere per ogni giorno che ho passato sulla terra. Alcuni sono stati giorni più lunghi. Altri più brevi. Ma nemmeno per un minuto ho dimenticato che i diritti vengono prima dell’ideologia e della fede. Che un compagno che cade è un compagno che cade. Che un nazista che muore è un nazista che muore. E quando non è stato più necessario sparare, la mia arma è stata la mia faccia, il mio corpo e il mio respiro. Sono rimasto lì a fare il guardiano delle tombe dei miei compagni e delle mie compagne, perché non ci sputassero sopra. Avrebbero preferito che io finissi in Israele o addormentato tranquillo su di una poltrona. E invece no. Sono rimasto in Polonia. Per tutti quelli che volevano dimenticare, per tutti quelli che non la raccontavano giusta c’era Marek Edelman. Uno che aveva preso in mano una pistola, insieme ad altri 200 ragazze e ragazzi ed aveva fatto esplodere il Ghetto di Varsavia nella rivolta più incredibile che la Storia ricordi. 200 persone contro l’esercito più potente del mondo. Roba da non crederci. Roba da romanzi di Karl May. Invece dovete crederci. E’ stato possibile e sempre lo sarà. Non c’è bisogno di eroi. C’è bisogno di uomini e di donne. Per vivere. Per lottare per la libertà. Per “svuotare l’oceano salato delle lacrime umane”. Parola di Marek Edelman