Giuseppe Carretti “Dario”

(Villa Cella, 25 gennaio 1923 - 2 ottobre 2005)

L’ho guardata spesso quella centrale elettrica. Io garzone muratore, bracciante di Villa Seta, partigiano vice comandante di Battaglione. Piantata in mezzo alle montagne per produrre energia. Guardandola capivo davvero per cosa stavamo lottando. Eravamo in armi contro la barbarie per salvare tutto quello che di buono c’è nell’essere umano. La libertà, certamente. Ma anche l’intelligenza, i sentimenti, l’ingegno, la fantasia e la gentilezza. Il lavoro, il progetto, la fatica. In poche parole: l’umanità. Nel mondo che sognavamo nessuna donna sarebbe dovuta mai finire in prigione, perché protestava contro la fame, come era successo a mia madre. Nessun bambino avrebbe mai dovuto trasformarsi in servitore e lasciare gli studi, come era successo a me. Abbiamo imbracciato un mitra per tutto questo. Abbiamo visto cadere i nostri compagni. Abbiamo difeso una centrale elettrica e il sogno di una centrale elettrica. Quello che era e quello che rappresentava. Lo abbiamo fatto non solo con le armi. Lo abbiamo fatto con le parole, i pensieri e le speranze. E quando le armi sono state posate il lavoro è continuato. Io ho fatto il Sindaco. Ho seminato valori, ho raccolto idee. Ho studiato e ho imparato ad amare quello che di bello la vita ci offre. Ho fatto il presidente dell’ANPI. Non mi sono fermato. Non sono mai stato un reduce. Me lo ero promesso mentre guardavo la centrale elettrica. Si ha sempre qualcosa da fare, da dire e da sognare quando si è partigiani.