Ettore Cervi

(1921 – 28 dicembre 1943)

Ero il cinno, quello più piccolo e quello più amato. Ma solo per mia madre, mio padre o per la lapide che ci ricorda.

In campagna si cresce subito. Essere il più piccolo non conta. C’è la terra da lavorare, ci sono le bestie da allevare. Io però avrei voluto crescere, diventare vecchio in un mondo senza fascisti. Invece no. Mi è toccato di morire. Subito dopo Natale. Fucilato con i miei fratelli. I Cervi, ci conoscete.

Ho lasciato una bugia e un sorriso a mio padre, un abbraccio ai fratelli e un maglione bianco per Codeluppi. Per mia madre solo un ricordo. Un ricordo che uccide.

Poi siamo andati là, non a Parma come avevo raccontato a mio padre, ma al Poligono. Ci siamo baciati e abbracciati. Noi sette e Quarto Camurri.

Da piccolo nell’erba mi ci nascondevo e dicevo ai fratelli: “non ci sono più”. Mi sarebbe piaciuto farlo anche allora. Davanti ai repubblichini. Morire è sempre morire.

Il prato, però era troppo basso e con certe cose non si scherza.
Prima che sparassero Gelindo disse: “Voi ci uccidete, ma noi non moriremo mai”.
Gelindo ha sempre avuto ragione. Arrivederci, ciao.