Beatrice Ravà

(Reggio Emilia, 1 maggio 1877 - Auschwitz, 28 febbraio 1944)

Sono Beatrice Ravà di anni 67 ancora da compiere. Vedova. Di professione affittacamere. Di me non rimane nemmeno una foto, solo una scheda con il nome e le impronte. Il mio delitto: essere ebrea in una città impaurita e distratta di un Paese con poca memoria.

Sono finita in una camera a gas. Appena scesa dal treno. Da via Monzermone numero 6 ad Auschwitz. Da Reggio Emilia alla morte. Mi dispiace non potervi guardare negli occhi. Avrei molte cose da dirvi. Del sole che filtrava gentile nella via stretta in cui abitavo. Della luce accecante appena scesa dal carro bestiame. Di mia figlia Ilma che preferì farsi arrestare, pur di non lasciare me e sua sorella Iole. Di noi tre che decidemmo di morire insieme, perché nulla poteva dividerci. Degli annoiati assassini che vennero a portarci via, meticolosi nel loro lavoro di morte. Del fatto che nessuno vide nulla, sentì nulla, ricordò nulla.

Eravamo reggiane come loro. Avevamo mangiato come loro le granatine alla menta nei giardinetti di Porta Santo Stefano e le caramelle in quel piccolo negozio di Corso Garibaldi. Avevamo passeggiato in via Emilia come loro. Eravamo reggiane come voi. Italiane come voi. Ma non è bastato. Avrei molte cose da dirvi. Davvero molte cose.