Domenica Secchi

(Albinea, 11 marzo 1911 - Reggio Emilia, 28 luglio 1943)

Ero una bella donna. Non per vantarmi, ma molti si voltavano, quando andavo e tornavo in bicicletta dalle Reggiane. Forse qualcuno si ricorda ancora di quello sciame colorato che attraversava Reggio Emilia. Sempre agli stessi orari. Ci si poteva mettere a posto gli orologi.

Io, però, preferivo che mi guardassero per la mia pancia. Ero orgogliosa di aspettare un bambino. Fare figli quando c’è una guerra è un atto di coraggio e di speranza. E’ pensare alla vita, quando fuori si progetta la morte. O, come in fabbrica, la morte la si costruisce sotto forma di pezzi per l’esercito.

E proprio perché volevo la pace, ho deciso di partecipare a quella manifestazione il 28 luglio. Mussolini non c’era più. Non si poteva stare fermi. Basta con la guerra. Ci hanno ucciso in nove. Come cani. Davanti alla fabbrica.

Io avrei potuto anche farcela a nascondermi, ma è stato il mio pancione ad impedirmelo. Ero all’ottavo mese. Ero troppo grossa e in quella porta proprio non ci sono entrata. Così con una pallottola sola ne hanno uccisi due.

Quando si sparse la notizia, qualcuno disse: “Se si inizia a sparare alle donne incinte, abbiamo proprio toccato il fondo”. Non avevano ancora visto niente.